Lettera di risposta a Renato Drusini di Federutility


Egregio Direttore del quotidiano 'L'ADIGE',

Le chiediamo ospitalità sul Suo giornale per provare a confrontarci con le posizioni sostenute dal direttore dell’area Idrico-Ambientale di Federutility Renato Drusini, nell’articolo Gestione dell’acqua, i privati servono, da Voi pubblicato il 25.5.11. Concordiamo infatti con quanto da Lei scritto l’8 maggio sull’opportunità offerta dal referendum di giugno per cercar di «capire in profondità come stanno le cose», ed anche con certe affermazioni metodologiche iniziali di Drusini, quando invita ad evitare di «farsi trascinare in dibattiti intrisi di slogan, frasi fatte». Siamo quindi rimasti un po’delusi dalle conclusioni dello stesso, che ci pare vadano invece proprio in quella direzione, quando parla del referendum come di cosa che farebbe «retrocedere di decenni l’orologio della storia». Non è facile decidere in che direzione vada «l’orologio della storia», noi vorremmo invece stare su un altro piano, quello dei meri dati economico-quantitativi, che dovrebbero parlare da soli.
La tesi di fondo di Drusini è che «i privati servono», per portare al settore degli acquedotti quei capitali di cui hanno senza dubbio bisogno. Ma la storia di questi 15 anni di privatizzazione dell’acqua in Italia - che non inizia con il Decreto Ronchi del 2008 (Ronchi impone solo un salto forzato al processo di privatizzazione), bensì con la libera apertura ai privati contenuta nella legge Galli del 1994 - dimostra altre cose: che cioè con la privatizzazione della gestione dei servizi idrici gli investimenti sono diminuiti, e di molto. C’è una serie di dati– di provenienza ISTAT-Coviri – molto chiara in proposito.

Dati che sono stati ampiamente utilizzati nell’ultimo anno in vari libri ed articoli; l’ultimo, a firma di Ettore Livini, pubblicato sul settimanale economico di La Repubblica “Affari e Finanza” del 23 maggio di quest’anno. Livini riconosce il fatto che negli ultimi 20 anni «gli investimenti si sono ridotti di 2/3 rispetto a vent’anni fa». Se prendiamo il 1994 dell’approvazione della legge Galli per quello che è, la data cioè dalla quale è iniziato l’accaparramento degli acquedotti da parte dei privati (con le multinazionali francesi Veolia e Suez in prima fila), possiamo infatti notare che quella è anche la data in cui gli investimenti nel settore hanno iniziato a crollare, passando dalla media dei 2 miliardi di euro annui del decennio 1986-1995 (quando le gestioni erano ancora tutte pubbliche) ai soli 700 milioni tra il 1996 e il 2005. Insomma non pare proprio che i privati servano a portare i soldi per gli investimenti nel settore, i soldi invece li portano via, intascandosi i profitti garantiti dalla legge, che prima non c’erano.
 
Andrea Trentini e Roberto Antolini, del Comitato NonsoloAcqua di Rovereto, aderente alla campagna referendaria ‘2 Si per l’Acqua Bene Comune’