La sostenibilità del partito democratico

Un lucido e appassionato commento del programma elettorale di Veltroni e dei gravi scenari che prefigura: cadono perfino le speranze nascoste nelle ambiguità dei 12 punti.

Sul sito del partito democratico si trova il programma di governo del nuovo partito. Era meglio l’annuncio delle 12 azioni di governo! Era meglio il meno del più! Ridotto a slogan, necessariamente semplificanti e parziali, il programma del partito democratico lasciava spazio a interpretazioni e speranze. Poteva essere letto come una prima traccia di un programma ancora da costruire, certo, sbilanciato sul fronte dell’economia e dell’impresa ma giustificato da una congiuntura economica sfavorevole, la recessione negli Stati Uniti, la globalizzazione, si sa come va il mondo.

Adesso è peggio! Non lasciano perplesse solo alcune proposte specifiche del programma, ma è l’ambizione del testo a destare la preoccupazione maggiore. Anche il programma dell’Unione aveva l’ambizione di essere onnicomprensivo, era però costruito in centinaia di incontri con tutte le parti della società (vi ricordate la fabbrica del programma?). Oggi, invece, i 4 problemi dell’Italia, i 10 pilastri del progetto, le 12 azioni di governo, sono frutto soltanto di una ristrettissima cerchia di dirigenti di partito. Non è anche questo un problema di qualità della democrazia?

Con il suo programma, il partito democratico sembra voler smarcarsi soprattutto a sinistra. In certi passaggi si percepisce l’euforia di chi, abbandonato anche l’ultimo riferimento alla propria storia, si sente finalmente libero di dire ciò che pensa veramente – e, verrebbe da dire, lo fa con una retorica quasi futurista, contrapponendo alla pesantezza del reale l’effimero dell’ossimoro: l’efficienza economica si trova nella crescita, la disuguaglianza si affronta con il mercato, l’ambientalismo si risolve nell’imperativo del fare.

Delle ideologie del secolo passato si mantengono solo quelle peggiori. “L’economia fornisce il metodo, ma l’obiettivo è cambiare l’anima” ebbe a dire Margareth Thatcher. Questo sembra essere diventato il leitmotiv. Nulla è rimasto di quell’embedded liberalism che era la sostanza del programma di Prodi: sviluppo sì, ma sostenibile. “Noi crediamo che la tutela dei beni comuni ambientali e la valorizzazione dei territori siano ormai un cardine della civiltà contemporanea, nonché un criterio generale per orientare lo sviluppo sociale ed economico”. La nuova parola d’ordine è, invece, infrastrutture moderne e quindi sostenibili. La modernità come sinonimo di sostenibilità!

È vero, l’Italia ha bisogno di nuove infrastrutture. Ma insieme ha bisogno di un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, ha bisogno di una nuova fiducia nell’amministrazione pubblica. Non c’è bisogno di meno Stato ma di uno Stato più autorevole, capace di gestire la cosa pubblica in modo trasparente e democratico. È certamente vero che servono gli inceneritori: ma per bruciare quel che resta dopo la raccolta differenziata; è certamente vero che servono nuove linee ferroviarie: ma per rispondere a un oggettivo bisogno di mobilità; è certamente vero che servono nuovi impianti per la produzione di energia: ma non quelli a maggiore impatto sul territorio.

Nel programma del partito democratico, la risposta ai problemi oggettivi del nostro Paese sembra essere, invece, tutta improntata su facili, per quanto demagogiche scorciatoie. Ancora una volta, le risorse ambientali e territoriali sono destinate a soccombere alle politiche economiche. Ciò è particolarmente evidente in almeno tre punti del programma:
- alla lettera b) del primo punto torna la svendita del patrimonio pubblico con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico – e Tremonti ringrazia;
- alla lettera a) del punto 5, nel capitolo dedicato all’ambientalismo del fare, compare il nucleare – ma i nostri politici lo sanno che la Germania della cancelliera Markel, non più di due mesi fa, nel proprio programma per il clima ha tassativamente escluso lo sviluppo di nuovi impianti nucleari?;
- infine, alla successiva lettera b), si preannuncia la fine della pianificazione urbanistica come la conosciamo oggi: “in tema di pianificazione dell’uso e di governo del territorio, l’ideologia della regolamentazione è cattiva consigliera”. Ma in che modo, e soprattutto chi sceglierà allora fra tutela del territorio e sviluppo urbano? Si preannuncia una privatizzazione del governo del territorio anch’essa già proposta dal precedente governo di centrodestra?

È difficile credere che ogni riferimento alla sostenibilità ambientale nel programma di Prodi sia stato esclusivo appannaggio della sinistra radicale e che, con la dissoluzione dell’Unione, si sia dissolto anche la coscienza ambientale del partito democratico. Pur comparendo tra i dieci pilastri del programma, fra le azioni di governo la sostenibilità ambientale non è però mai citata. Da un partito riformista che comprende autorevoli esponenti dell’ambientalismo italiano, ci si doveva aspettare un impegno diverso. Ma soprattutto ci si doveva aspettare una maggiore assunzione di responsabilità per il nostro Paese e per le generazioni future. Ma forse c’è ancora tempo.