L'uomo delle marmellate - Stefano Debiasi



tratto dal quotidiano 'L'Adige'

di
Nicola Guarnieri


Da piccolo sognava di essere diverso dagli altri. Per questo, dopo le medie, ha deciso di iscriversi all'istituto agrario di San Michele nonostante non avesse alcun aggancio con il mondo contadino. Poi, da grande, ha provato prima a diventare allevatore e quindi, dopo un passaggio nelle stanze di mamma Provincia, ha deciso di licenziarsi e seguire la sua naturale vocazione: l'agricoltura biologica. Stefano Debiasi ha 40 anni tondi tondi, vive a Madonna del Monte, tra Rovereto e l'Ossario, e confeziona marmellate, sughi e creme vegetali nel laboratorio di Molini di Nogaredo. E la campagna? «Sparpagliata per tutta la Vallagarina e oltre, da Verona a Rovereto».

La sua azienda agricola è completa: coltiva ortaggi e frutta, li trasforma in conserve e confetture, li vende. Si tratta di prodotti di nicchia, non è certo un supermercato, ma il fiore all'occhiello è la grande richiesta dei vasetti dall'America e dal Giappone. «Ma questo è merito di un consorzio di produttori biologici italiani. Comunque è vero, in California mando cinque-sei bancali di passata di pomodoro, in tutto circa novemila vasetti con etichetta in doppia lingua, italiano e inglese».

Da luglio, la filiera di questa azienda assolutamente familiare ed artigianale si completerà con la vendita diretta. «Apriremo una bottega sotto casa, in via Madonna del Monte. Si tratta di venti metri quadrati ma ci saranno tutti i nostri prodotti più del pane biologico che compreremo. Insomma, un piccolo alimentari di paese».

Debiasi, che è pure presidente di Atabio, - l'associazione trentina che riunisce oltre 150 aziende dedite rigorosamente al biologico - il pallino di curare le offerte di madre natura ce l'ha da sempre. «I miei non erano contadini e quindi non sono cresciuto nei campi. Ma da bastian contrario quale sono ho deciso di andare a San Michele. Ogni estate della scuola lavoravo in malga. Tant'è che alla fine mi sono comperato sei vacche da latte e ho iniziato a produrre yogurt. Per fare l'allevatore, però, c'era bisogno di più spazio e così sono passato all'agricoltura. Non avendo terreni, li ho acquistati e altri li ho presi in affitto. In tutto lavoro quattro ettari di campagna».

Le cifre, ovviamente, non sono quelle di un'azienda padana ma va considerato che tutto, ma proprio tutto, è assolutamente biologico. «Dai miei campi recupero 300 quintali di pomodori, 200 di cavoli cappucci per i crauti, 130 di mele, 50 di piccoli frutti, soprattutto fragole». E le marmellate? «Un'altra passione, come lo sciroppo di fiori di sambuco».

Ma pure le confetture sono biologiche? «Certo. Innanzitutto non ci aggiungo pectina, la sostanza che rende le marmellate gelatinose. E non ci sono ovviamente conservanti. Questo è possibile grazie alla lavorazione sottovuoto e alla bassa temperatura con la quale si estrae l'acqua. La bollitura, infatti, avviene a 55 gradi centigradi e consente di mantenere le proprietà organolettiche». Il piatto forte, però, è la passata di pomodoro, prodotto mediterraneo che tanto piace ai buongustai a stelle e strisce. Curioso che un ortaggio tipico del Meridione provenga invece dalle Alpi! «Già, ma il terreno su cui viene coltivato è calcareo e l'esposizione ridotta al sole rende il pomodoro meno acido».

L'azienda agricola biologica «Debiasi Stefano» è ormai diventata l'attività di tutta la famiglia. «I miei genitori mi danno una mano e mia moglie, che lavora part time, è pure della partita. Mi auguro che almeno uno dei miei tre figli da grande decida di continuare su questa strada. Mi dispiacerebbe, da vecchio, vedere conclusa quest'esperienza». Ma perché si è licenziato dalla Provincia? «Perché volevo fare il contadino. Dopo la scuola agraria ho vinto un concorso e quindi sono andato a lavorare a Trento. Nel tempo libero, però, coltivavo e confezionavo marmellate e succhi. Ho capito che questa era la mia strada ed era anche la mia natura. L'attrazione per l'agricoltura biologica è stata più forte della sicurezza del posto pubblico fisso. E sono contento di questa scelta».

L'unica nota stonata è la forza lavoro. «Non si trovano ragazzi disposti a lavorare nei campi. La manodopera è solo straniera ma a noi servono contadini specializzati visto che abbiamo una produzione biologica. Non capisco perché nessuno voglia fare questo mestiere. In fin dei conti si tratta di lavorare 36 ore alla settimana per 7,50 euro all'ora».